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caro lorenzo sono completamente favoreole alla tua idea
patrik

Grande ragazzi, ottima idea! Mi raccomando, l’importante è non mettere troppa carne al fuoco. Partire dalle province mi sembra ottimo perchè permetterebbe di risparmiare 70 miliardi di euro annui, un importo pari a tre finanziarie, vicino all’enorme costo degli interessi del debito pubblico. Questo darebbe davvero ossigeno al nostro povero Stato per fare poi molto altro!
Non molliamo!!!

Aderisco con convinzione all’idea della proprosta di legge per abolire costituzionalmente le Province.
Non aderisco invece, pur condividendone lo spirito, alla proposta di riduzione del numero di rappresentanti nei consigli elettivi perché riguarda anche i Comuni (sulle Province, ovviamente, sarei d’accordo).
Per i Comuni, ritengo che ridurre, mi pare di capire alla metà, i consiglieri avrebe l’effetto di restringere la possibilità di accedere in Consilgio Comunali anche ai “non addetti ai lavori”, già oggi molto scarsa. In altre parole, la proposta finirebbe con il chiudere la strada a tutti coloro che non hanno una macchina organizzativa o intere categorie alle spalle. In altre parole, si finirebbe con l’accentuare il carattere castale della rappresentanza politica locale.

Il tema dei costi della politica continua a occupare un ruolo centrale nel dibattito attuale.
Visto che i tentativi di aumentare la produttività o l’efficienza della spesa pubblica non danno apprezzabili effetti, giustamente l’attenzione si sposta su altri ambiti di possibile risparmio, in particolare dove il costo è percepito come sinonimo di spreco.
Il confine tra costo necessario e costo superfluo è il limite che c’è tra ciò che costa ma va mantenuto e ciò che costa ma non genera prodotto o risultato e come tale va eliminato.
Tale distinzione applicata ai costi della politica si presenta assai complessa, sia per l’individuazione delle spese riconducibili a tali distinte categorie, sia per la loro esatta quantificazione.
Ma ancora più arduo è poter fare una chiara valutazione del prodotto o del risultato correlato a tali costi.
Volendo tentare di fare un’approssimativa elencazione di costi e volendo limitare l’esame ai soli casi di eletti con qualche incarico amministrativo (presidenti, sindaci, assessori), si può dire che ogni titolare di carica governativa sia a livello statale che degli enti territoriali (regioni, province e comuni) è una falla da cui escono rivoli di denaro pubblico:
- Automobili di servizio;
- Computer;
- Viaggi;
- Consulenti.
Oltre beninteso alle spese di indennità di carica ed eventuale diaria le cui misure variano dai circa 17.000,00 euro mensili dei deputati e senatori, ai circa 11.000,00 euro per i consiglieri regionali. Nel caso delle province la retribuzione dei presidenti varia da 4 a 7.000,00 euro al mese (a seconda degli scaglioni di popolazione) mentre nel caso dei sindaci si va da 1.500,00 a 8.000,00 euro al mese per il comune con oltre mezzo milione di abitanti.
Come se ciò non bastasse, va ricordato che dopo il periodo di Tangentopoli e l’abolizione del finanziamento statale dei partiti politici nacquero a tutti i livelli di governo del paese delle strutture private parallele, ma pagate con soldi pubblici.
Si tratta dei portaborse, collaboratori e professionisti che formano quella corte più o meno numerosa di persone che ogni politico che abbia un minimo di amor proprio cerca di crearsi per poter presidiare il proprio collegio e garantirsi la rielezione alla successiva tornata elettorale.
Tutti questi soggetti sono pagati con denaro pubblico e usufruiscono di uffici, telefoni, attrezzature, auto e rimborsi spese dell’amministrazione pubblica.
Inoltre, per i più fidati (non necessariamente per quelli più validi che comunque si possono trovare) a ogni fine legislatura si provvede a infilare in qualche provvedimento la norma che consente la stabilizzazione del loro posto di lavoro, con la conseguenza che gli organici pubblici aumentano anziché diminuire.
Di fronte a questo stato di cose i rimedi che si continuano a proporre sono le solite misure di razionalizzazione della pubblica amministrazione, di decentramento delle funzioni dal centro alla periferia e altri “pannicelli caldi” che inevitabilmente si risolvono nella creazione di ulteriori organismi (agenzie, società municipalizzate, ecc), che determinano un improduttivo allungamento dei processi decisionali.
Oppure, come nella proposta di finanziaria statale per il 2008, la riduzione del numero dei membri dei consigli comunali o provinciali nonché di giunte, comitati, commissioni eccetera, la cui attuazione, tutti sappiamo, verrà procrastinata quanto più possibile nel tempo. Un esempio sono le centinaia di enti dichiarati inutili ma che ancora non sono stati soppressi e che continuano a pesare sulla finanza pubblica.
Dunque tali processi si sono sempre dimostrati lunghi, difficili.
Ritengo invece che sarebbero più efficaci interventi riformatori radicali che, oltre all’attesa riduzione degli sprechi, avrebbero altresì un forte e favorevole impatto nell’opinione pubblica.
In tale contesto si inquadra l’irrisolto e quanto annoso problema dell’abolizione delle province che dopo tanti discorsi e nessun concreto tentativo finalmente consentirebbe di dimostrare che si sta andando nella direzione auspicata dai cittadini-contribuenti.

14 dicembre 2007
Francesco

era e rimane una mia battaglia, e quindi vi ho subito promossi sul mio sito:www.liberissimo.ilcannocchiale.it

Fin dalla nascita delle Regioni si era parlato di eliminare le Province, ma non se ne è mai fatto nulla perchè sono troppi i cittadini che sperano di entrare nella burocrazia pubblica dove si guadagna molto e si ” lavora ” pochissimo.
Di conseguenza i politici di destra e di sinistra non fanno nulla di concreto ma continuano ad aumentare il nuumero delle province, con il plauso dei cittadini fannulloni.